mercoledì 3 febbraio 2021

Carico attivo con LDMOS ed ESP32

  Fine 2020, costretto a casa in ferie, mi sono dilettato nell'autocostruzione di un carico attivo, uno strumento che desideravo da tempo.

   Per farlo ho commesso un grave sacrilegio 🙂, decidendo di distruggere uno stadio finale MCPA Doherty per 3G (2.1 GHz) che da troppo tempo (10 anni...) giaceva in uno scatolone. Lo so, e' un crimine usare degli LDMOS da 2 GHz e 140 W l'uno per fare un carico attivo, ma non erano recuperabili (saldati al pallet di rame) ed essendo accordati internamente difficilmente riciclabili.


  Ok, qualche radioamatore ha riutilizzato esattamente lo stesso telaio per i 2.4 GHz, ma anche quella per me e' una cosa sporca: un Doherty che non fa più il Doherty e tutto disadattato... e poi trasmettere a 2.4 non mi interessa! Perchè ho pensato di usarlo per il carico attivo? Beh, perché era già molto ben dissipato, con la sola necessità di metterci eventuali ventole, inoltre credo che gli LDMOS, essendo nati per lavorare in regime lineare, non abbiano problemi di SOA e possano dissipare più o meno la potenza piena su tutto il campo di tensione di lavoro. Dico credo, perchè nessuno si sogna di mettere il grafico della SOA nel datasheet di un LDMOS da 2 GHz... il dubbio più che altro mi resta per le tensioni tra 30 e 60 V, essendo 28-30 V la tensione operativa nominale e 68 V il "maximum rating", un valore che normalmente è sopportato nei picchi di tensione RF, quando la corrente non è particolarmente alta. Apprezzerei commenti in proposito.

  Beh, andando al punto: ho usato un ESP32, interfacciato con un convertitore A/D 16 bit premontato e con una schedina con un doppio DAC a 12 bit che ho realizzato ad hoc.


  I DAC pilotano individualmente i gate, mentre l'ADC legge tensione e corrente, la seconda tramite un IC hall da 20 A recuperato da una scheda tagliandoci la vetronite attorno 🙂.

  L'ESP32 realizza il controllo ed il data logging in memoria, controllato da una semplice interfaccia web che si può comandare da smartphone o da PC.

pagina principale


 

pagina RUN

  Il controllo digitale con l'ESP32 è il bello ed il brutto del sistema allo stesso tempo: il bello perchè è facile implementare qualunque logica V<->I che passi per la testa, il brutto perchè il controllo è fatto ad una frequenza di campionamento modesta (300 Hz circa, dove il limite viene principalmente dal convertitore A/D), per cui la reazione alle variazioni esterne non è rapidissima. Nella scheda originale ho lasciato quasi tutto (troppa fatica togliere componenti col pallet di rame sotto...), ho però tagliato le piste RF alle entrate ed uscite degli LDMOS, ridotto le capacità di bypass sulle polarizzazioni di gate e drain e sostituito i risonatori che erano installati sui bias di drain con delle VK200 modificate con 3 spire in parallelo e con ulteriori 10 ohm in parallelo. Infine in gate ho messo degli RC serie verso massa (10 ohm e 1 nF) per prevenire autooscillazioni. All'inizio avevo lasciato i risonatori di drain originali con 10 ohm in parallelo, però uno dei MOS autooscillava a 2.1 GHz carbonizzando la 10 ohm, nonostante l'RC di gate.

dettaglio modifiche

  I limiti che mi sono dato sono 60 V, 20 A, 600 W. I singoli MOS nascono per erogare fino a 140 W continui col 27% di efficienza, che corrispondono a 378 W dissipati con 18.5 A assorbiti a 28 V. Non intendo però utilizzare potenze alte per tempi lunghi. I modi di controllo che ho implementato finora sono: corrente costante con limite di potenza, tensione costante con limite di potenza, resistenza costante con limite di potenza, batteria LiPo, comando manuale dei DAC. Al di là dei modi ovvi, l'ultimo mi serve per fare prove e tarare il bilanciamento dei MOS, mentre "batteria LiPo" è uno speciale modo a corrente controllata in cui imposto la tensione nominale e la corrente desiderata: la corrente rimane al valore impostato fino a che la tensione scende a 3.3 V/cella (89% del valore nominale), poi scende gradualmente fino a zero a 3.0 V/cella: utile per testare i pacchi batterie senza far innescare prematuramente il BMS. Allego un po' di foto dell'aspetto finito, dell'interfaccia, dell'interno prima e dopo. Finora ho fatto prove al massimo a 30 V 5.5 A. Il controllo è ancora abbastanza grezzo, per ora solo un integrale puro con guadagno medio nei modi in corrente e basso in quelli in tensione e resistenza. Una piccola finestra grafica mostra l'andamento in tempo reale degli ultimi 10 s di funzionamento, mentre si possono registrare e scaricare in CSV fino a 7500 campioni a 10 ms o più, ho messo default 1 s. I parametri del modo scelto si possono cambiare al volo.

martedì 10 gennaio 2017

puntatrice a scarica capacitiva (capacitive spot welder)

E' un progettino che risale al 2011, messo insieme a partire dalle idee sul web, con una piccola innovazione che consente l'uso a mani libere.
Usa 6 condensatori elettrolitici da 47000 μF 35 V di recupero e un solo mosfet bello grosso, un IRFP4004 (1390 A pulsati massimi), con RDS(on) massima di 1.7 mΩ.

Subito qualche foto:

vista dall'alto
vista laterale con 3 dei 6 condensatori elettrolitici
montaggio del MOS
esempio parti puntate

veloce prova su una pila NiMH
 
qualche prova in video...

Ecco lo schema:
schema elettrico

L'alimentazione è esterna con un alimentatore regolabile da impostare nel range 12-18 V. I 18 V non vanno assolutamente superati, perché alimentano anche il timer 555.
A riposo il banco di condensatori si carica attraverso la resistenza da 10 Ω. Il drain del MOS di potenza è tenuto al potenziale GND dalla resistenza da 8.2 k verso massa. Il 2N7000 rimane spento.
Una volta che gli elettrodi vanno entrambi a contatto col pezzo da puntare, il drain del MOS di potenza sale alla tensione di alimentazione; la tensione di gate del 2N7000 sale gradualmente e dopo circa 1 s questo entra in conduzione e innesca il timer 555; il timer accende il MOS di potenza per un tempo impostabile col trimmer (0.8-12 ms). Contemporaneamente il BC547 scarica il condensatore di gate del 2N7000, rimuovendo così il segnale di trigger al 555.
In questo modo si può operare a mani libere: la scarica della puntatrice avviene automaticamente dopo circa 1 s di mantenimento del contatto col pezzo. La durata della scarica è impostabile.
Il condensatore  di gate del 2N7000 è al tantalio, perché essendo caricato da un resistore da 1 MΩ, deve avere basse perdite; in alternativa si può usare un poliestere.

Avendo utilizzato solo 282000 μF, si possono puntare solo oggetti di modeste dimensioni, ma i parametri del circuito si possono facilmente modificare, ad esempio aumentando la capacità, aggiungendo MOS di potenza in parallelo all'IRFP4004 e aumentando il tempo di scarica.
Non conviene, a mio avviso, modificare il circuito per usare tensioni di alimentazione più elevate: per quanto ho visto la tensione sul punto di contatto del pezzo in genere è di pochi V, per cui partendo da tensioni alte si ottengono sì correnti iniziali più elevate, ma con efficienza molto bassa.

Ho volutamente usato dei cavi di sezione contenuta 4 mm2 e 1 m complessivo di lunghezza per limitare la corrente massima in caso di cortocircuito degli elettrodi. La resistenza complessiva di loop è:
  • 1.35-1.7 mΩ RDS(on) del MOS di potenza
  • 2-3 mΩ ESR dei condensatori (Panasonic THA, 13-18 mΩ ciascuno da data-sheet)
  • 4.2 mΩ sui cavi
A 13 V, in caso di cortocircuito, la corrente di picco è attorno ai 1400 A, poco oltre il massimo ripetitivo del MOS.

Ho fatto delle misure con trasformatore di corrente (TA) 300:1 caricato su 2.2  Ω.
Con una alimentazione di 13 V, puntando due sottili lamine di acciaio con gli elettrodi a 8 mm di distanza tra loro, ho misurato una corrente di picco di 760 A. La tensione sul banco di condensatori in 7 ms è scesa da 13 a 3 V.
Con la stessa alimentazione, su una lamina di alluminio a 15 mm di distanza ho misurato ben 1145 A e la puntatrice è risultata del tutto inefficace...

Ho ripetuto oggi le misure di corrente con 13 V, sottili lamine di acciaio e tenendo gli elettrodi a circa 8 mm l'uno dall'altro:
 
test setup
TA 300:1 e resistenza 2.2 Ω
1: corrente 2: tensione condensatori
Il range della corrente è 273 A/div: 2 V/div su 2.2 Ω da moltiplicare per 300. Il picco corrisponde a 2.8 divisioni, ovvero circa 760 A. In questo test la tensione sul condensatore è scesa da 13 a 2.4 V in 7 ms.


mercoledì 10 agosto 2016

diatermia RF - in scatola!


 Finalmente in scatola!
 Ho riciclato contenitore e ventola di un vecchio alimentatore ATX per PC, partendo dai 19 V di un alimentatore da PC portatile di recupero: se ne trovano di varie taglie da 45 a 120 W, nel nostro caso ce ne vogliono almeno 60. Rispetto agli schemi originali dell'oscillatore e dell'amplificatore ho aggiunto:
  • un diodo di protezione contro le inversioni di polarità e un filtro LC per evitare di riversare RF nell'alimentatore;
  • uno stabilizzatore a 12 V per ventola e oscillatore, fissato sullo stesso radiatore dei MOS finali;
  • un alimentatore commerciale XL6009 acquistato online, usato come survoltore per fornire l'alimentazione allo stadio di potenza. Su questo ho sostituito il trimmer a bordo scheda con un potenziometro e una resistenza, per ottenere un range di uscita circa 20-33 V;
  • uno shunt e un microamperometro per misurare la corrente in entrata all'ampli di potenza, che è una importante indicazione della potenza che si sta applicando. Come microamperometro ho usato uno strumentino analogico recuperato da un registratore a cassette anni '70.
schema a blocchi

Note

 Il trimmer da 4.7 kΩ va regolato per 3 A fondo-scala dello strumento. Il diodo 1N4148 serve a salvare lo strumento nel caso in cui la resistenza shunt dovesse interrompersi. Qui i valori delle resistenze sono da adattare in funzione dello strumento che si riesce a recuperare.
 Per la regolazione di tensione i valori di resistenza da usare li ho trovati sperimentalmente. Ho visto che non tutti i moduli pubblicizzati come XL6009 sono uguali tra loro, per cui anche in questo caso meglio verificare con qualche misura (col finale scollegato!!!). Nel caso del mio modulo il trimmer usava solo due terminali, ma non è detto che sia la regola.
 La regolazione della tensione di alimentazione serve ad evitare di dissipare inutilmente potenza quando il livello di uscita è basso. I finali lavorano correttamente in classe AB quando l'alimentazione supera di qualche volt la tensione di picco tra drain e massa dei finali: per questo ho preferito tarare il potenziometro di livello in volt di picco sui drain. E' comunque opportuno non scendere sotto i 20 V.
 Nelle foto si nota uno schermo in foglio di rame sopra il survoltore. Non ero sicuro che servisse, ma l'ho messo perché l'alimentatore l'ho piazzato proprio sopra le uscite RF e volevo evitare di irradiarlo.
 La mascherina l'ho realizzata mediante stampa su carta adesiva per ink-jet. Prima ho stampato su carta semplice, l'ho attaccata con lo scotch e ho misurato un po' di punti per le varie scale graduate (corrente, tensione di alimentazione, tensione di picco di drain); poi ho messo a posto il disegno e fatto la stampa definitiva sulla carta ink-jet. La tensione di picco sul drain che ho indicato è misurata con l'oscilloscopio senza carico tra un drain e massa, applicando la massima tensione di alimentazione di 33 V. Naturalmente la tensione di alimentazione sulla scala del potenziometro è un doppione, perché c'è anche la misura del display sull'alimentatore, ma è comoda per evitare di accendere con valori a casaccio.

Utilizzo 

 Come già scritto nel post dell'anno scorso sull'amplificatore, non sono un medico e non voglio esortare nessuno a costruire e sperimentare la tecnologia. C'è da farsi male: ci si può scottare la pelle se si maneggia in modo incauto l'applicatore e, peggio, ci si può scottare in profondità se si esagera con la potenza o non si fanno i movimenti giusti. Con questi articoli mi limito a mostrare quello che ho costruito, visto che in seguito ad un messaggio su un newsgroup sono stato contattato da diverse persone interessate alla mia esperienza. Non entrerò pertanto nei dettagli di utilizzo per curare questo o quest'altro doloretto e vi prego di non contattarmi per questo. Faccio presente che Nuova Elettronica, prima di chiudere i battenti, ha pubblicato un volumetto sull'argomento...
 Le uniche raccomandazioni sono:
  • partire sempre col potenziometro di livello a zero, aumentandolo solo dopo aver posizionato l'applicatore, altrimenti si rischiano scottature in fase di contatto, almeno per gli elettrodi resistivi;
  • tenere la tensione di alimentazione 4-5 V superiore alla tensione di picco sui drain che si vuole utilizzare, col minimo di 20 V. Non serve diminuire l'alimentazione tutte le volte che si abbassa temporaneamente il livello di uscita;
  • rimettere a zero il potenziometro di livello prima di togliere l'applicatore;
  • evitare cortocircuiti tra i terminali di uscita, perché lo stadio di potenza è protetto solo dalla limitazione di corrente degli alimentatori e potrebbero bruciarsi i MOS.

 

Foto

scatola aperta, di fianco

vista dall'alto

aperto davanti, senza mascherina

finito!

vista da dietro e alimentatore esterno

martedì 9 agosto 2016

diatermia RF - l'oscillatore

 Dopo tanto tempo, recentemente ho ripreso in mano il prototipo per la diatermia RF (http://iw3ipd.blogspot.it/2015/01/diatermia-rf.html) per completarlo.
In questo post parlo dell'oscillatore a 470 kHz, realizzato a partire da un risonatore ceramico Murata CSB470E recuperato chissà dove.

Descrizione del circuito

 T1 e T2 sono trasformatori di media frequenza miniatura per radioline AM con condensatore incorporato. Sono progettati per 455 kHz, ma coi nuclei quasi completamente svitati riescono a sintonizzare i 470 senza problemi. Ulteriori dettagli più avanti.
L'oscillatore è un semplice Colpitts. Col carico capacitivo che presenta al risonatore la frequenza di oscillazione risulta 467 kHz, che vanno più che bene per l'applicazione. La resistenza di collettore sul BC548B limita l'ampiezza dei segnali in base ed emettitore, mantenendo la potenza dissipata dal risonatore a valori molto contenuti e producendo un livello adeguato a pilotare lo stadio successivo.

Il 2N2222A lavora con circa 12 mA di corrente di collettore a riposo ed è in grado di pilotare un carico di 1 kΩ o superiore con 10 V di picco. Per lo stadio di potenza serve al massimo 1 Veff (1.4 V di picco) su 50 , per cui va applicato un rapporto di trasformazione intermedio tra 4.5:1 e 7:1
  • 4.5:1 trasforma 50 in 1012 Ω e fornisce 2.2 V di picco in uscita
  • 7:1 trasforma  50 in 2450 Ω e fornisce 1.43 V di picco in uscita
 All'inizio ho provato soluzioni con un solo trasformatore, ma tra i vari tipi di cui disponevo nessuno rientrava nell'intervallo desiderato. Inoltre la soluzione con due trasformatori accoppiati capacitivamente riduce sensibilimente la distorsione, generando in uscita una sinusoide quasi decente. T1 è una media frequenza con nucleo giallo e rapporto 2.5:1 (con la presa adottata), mentre T2 ha nucleo nero e rapporto 2:1. Il rapporto complessivo sarebbe 5 se non ci fosse il condensatore di accoppiamento, che lo rende un po' più elevato, ma sempre nel range richiesto, tant'è che resta margine per sopportare il carico del potenziometro e l'attenuazione della resistenza in serie al cursore. Il potenziometro serve a regolare il segnale inviato allo stadio di potenza ed è la regolazione principale del sistema completo; la resistenza evita instabilità del circuito di potenza quando il cursore del potenziometro è ruotato verso il minimo.

Note sui componenti

 Il potenziometro è di quelli normali a carbone. 100 Ω non è un valore molto comune, ma si trova. Meglio evitare i potenziometri a filo, che sono induttivi.
 La frequenza del risonatore non è per niente critica per la diatermia, per cui valori tra 450 e 500 kHz possono andare ugualmente bene. Purtroppo oltre i 470 kHz diventa difficile usare le medie frequenze per T1 e T2, a meno di fare un "intervento chirurgico" per rimuovere il condensatore interno e metterne uno esterno di valore più basso.
 Per T1 e T2 si trova in giro parecchio materiale, ma purtroppo il colore del nucleo è tutt'altro che sufficiente ad identificare le caratteristiche, che sono le più disparate. Occorre procurarsi vari esemplari, poi armarsi di generatore di segnali e oscilloscopio a doppia traccia per identificare il rapporto di trasformazione. Suggerisco di collegare il generatore con una resistenza in serie da qualche centinaio di ohm sul lato secondario, che in genere è quello col minimo numero di spire.



 Naturalmente il test va fatto in condizioni di risonanza, variando la frequenza del generatore fino ad ottenere la massima lettura su chB. Siccome la presa sul primario è raramente al centro, ci sono tre possibili combinazioni da provare per il rapporto di trasformazione; in genere però i rapporti sono piuttosto alti, tranne uno.
 Nel disegno ho messo la connessione più tipica degli avvolgimenti, ma ci sono trasformatori con gli avvolgimenti disposti in modo anomalo, per cui conviene fare una verifica di continuità col multimetro.


Qualche foto

 
primissimo prototipo "volante"


oscillatore assieme allo stadio di potenza

domenica 25 gennaio 2015

diatermia RF

Si tratta di un progetto che risale al 2012 e che ancora attende un degno completamento...
In quel periodo, dopo una serie di terapie ad una spalla durante le quali mi sono reso conto della metodologia di applicazione e dei benefici del cosiddetto "Tecar" (che è semplicemente un marchio registrato per la diatermia a radio frequenza), mi son detto: questo me lo posso costruire!

Non sono un medico e non voglio esortare nessuno a costruire e sperimentare la tecnologia. C'è da farsi male: ci si può scottare la pelle se si maneggia in modo incauto l'applicatore e, peggio, ci si può scottare in profondità se si esagera con la potenza o non si fanno i movimenti giusti. Con questo articolo mi limito a mostrare quello che ho costruito, visto che in seguito ad un messaggio su un newsgroup sono stato contattato da diverse persone interessate alla mia esperienza. Non entrerò pertanto nei dettagli di utilizzo per curare questo o quest'altro doloretto e vi prego di non contattarmi per questo. Faccio presente che Nuova Elettronica, prima di chiudere i battenti, ha pubblicato un volumetto sull'argomento...

Prima di buttarmi nell'avventura ho guardato un po' in giro le specifiche di apparati commerciali e ho capito che:
  • la frequenza è sempre intorno ai 470-500 kHz. Evidentemente è un compromesso buono tra penetrazione nel corpo (che aumenta al calare della frequenza) e dissipazione nei tessuti (che viceversa aumenta al crescere della frequenza). Il valore non è per niente critico, a patto di essere certi di non disturbare altre apparecchiature nei dintorni con le inevitabili emissioni radio;
  • esistono due modalità applicative
    • resistiva: per contatto elettrico, usando una piastra per la massa ed un applicatore più piccolo, entrambi da ungere con crema conduttiva. Serve una tensione RF relativamente bassa, perché l'impedenza di carico è bassa;
    • capacitiva: in questo caso gli elettrodi (o almeno uno) sono isolati in qualche modo che non ho indagato più di tanto. Siccome la capacità risulta in serie al carico ed è piccola, in questo caso serve una tensione RF abbastanza alta, anche di centinaia di V. Questa modalità l'ho predisposta, ma mai provata;
  • la potenza massima che si vede dichiarata oscilla tra 60 e 100 W. Io mi sono dato l'obiettivo di generare 50-60 W massimi. A parte i test iniziali usando lampade come carico, ho però sempre usato il prototipo a potenza più bassa, riducendo l'alimentazione e/o il segnale di ingresso, altrimenti il calore prodotto risultava eccessivo.
Nelle prime bozze di progetto mi sono dato un obiettivo di alta efficienza, pensando ad uno stadio di potenza in onda quadra, oppure in classe C o E. Queste architetture richiedono però filtri passa-basso per abbattere le armoniche, che sono particolarmente critiche perché durante l'uso è inevitabile irradiare RF. I filtri possono fare scherzi strani quando il carico è fortemente variabile (può essere scollegato, collegato, presentare un'impedenza che varia secondo la bontà del contatto e la distanza dalla piastra di massa), facendo vedere allo stadio finale una impedenza ruotata in fase rispetto a quella di uscita.
Così mi sono orientato verso un push-pull in classe (A)B a MOSFET con uscita a trasformatore: discretamente lineare, con la possibilità di introdurre prese a volontà sul secondario per gestire impedenze diverse e le due modalità induttiva e capacitiva.

Per pigrizia e per poter fare le prove più disparate all'inizio non ho messo un oscillatore, pensando di provarlo temporaneamente con un generatore da laboratorio, un vecchio hp3325a. Analogamente per le prove ho usato un alimentatore da laboratorio, un modello lineare "da fiera" 0-33 V 0-3 A. Siccome funzionava bene è rimasto così... Oscillatore, alimentatore e inscatolamento sono rimasti nella "to do list" in coda ad altri progetti.

Beh, passiamo a schema e commenti.


La prima cosa che voglio far presente è che lo stadio di uscita non è protetto da cortocircuito sul carico. L'ho fatto per semplificarmi la vita, mi son detto: in fondo basta stare attenti. Ok, è indispensabile stare attenti, pena bruciatura dei finali!

La resistenza da 56 ohm in ingresso fa vedere circa 50 ohm al generatore, che deve essere di tipo sinusoidale pena l'emissione incontrollata di armoniche, perché gli stadi amplificatori sono a larga banda.
Entrambi gli stadi lavorano con forte feedback che stabilizza il guadagno e migliora la linearità.
Il primo stadio è in classe A, il secondo in B (o AB, secondo come si regola la polarizzazione). Per i finali è opportuno selezionare una coppia con tensione Vgs di soglia più simile possibile. Il trimmer va regolato a partire dal lato massa senza segnale in ingresso e senza carico, finché si vede aumentare la corrente assorbita di 50-100 mA rispetto al valore iniziale.
Il MOS pilota richiede un piccolo dissipatore, che ho ricavato saldando al drain (l'elettrodo più largo) un pezzetto di lamierino di zinco. I finali richiedono abbondanza di dissipazione, oppure un radiatore con ventola tipo quello dei Pentium 4; indispensabile usare foglietti di mica e pasta al silicone per isolare i drain dal radiatore. Personalmente diffido dei foglietti isolanti gommosi, che essendo spessi introducono in genere una resistenza termica considerevole: diciamo che vanno bene per gli stadi switching, non per quelli lineari.
Il trasformatore di accoppiamento interstadio l'ho ricavato da una induttanza toroidale surplus che aveva già un avvolgimento di 59 spire con induttanza 234 µH. Ho aggiunto un secondario 16+16 spire con filo Litz 50x0.05. Il valore di induttanza non è particolarmente critico, diciamo che 200-400 µH sul primario possono andar bene, poi occorre rispettare il rapporto spire col secondario. Meglio usare una ferrite con permeabilità relativa µr non troppo alta (non più di 100-200). Al posto del filo Litz si può usare rame smaltato un po' più grosso. Nel caso del mio toroide i parametri (stimati) sono:
  • diametro medio 16 mm
  • sezione della ferrite 5x7 mm
  • µr = 77
Il trasformatore di uscita l'ho avvolto su un nucleo RM prelevato dallo scatoloncino delle ferriti...
In questo caso il primario consiste in 4+4 spire di filo Litz 130x0.1 (bello grosso...). Il secondario per il modo resistivo in 13 spire con presa dopo le prime 8 (pertanto 8+5) di filo Litz 50x0.05. Il secondario per il modo capacitivo in 64 spire (22+42) di filo Litz 30x0.05. Il nucleo non ha traferro e presenta una induttanza di 1.7 µH/spira. Questo va scelto bene, serve una ferrite che lavori a 470 kHz con le potenze in gioco senza saturare e senza introdurre attenuazione significativa. La ferrite per alimentatori switching non va tanto bene, ha  una permeabilità troppo alta che la rende adatta a frequenze più basse. Nel caso del mio nucleo i parametri stimati sono:
  • sezione del nucleo 150 mm2
  • lunghezza media del circuito magnetico 82 mm
  • µr = 740
Chiudo con una carrellata di foto del prototipo e degli elettrodi, per i quali ho utilizzato lamierino inox e manicotti di tubo da idraulica.

il prototipo
vista da sotto
 
zoom sul trasformatore di uscita

zoom sul radiatore del pilota e trasformatore intermedio

prototipo con piastra di massa e applicatore resistivo piccolo

piastra di massa a applicatori piccolo e grande